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Portogruaro: si uccide nel campo da calcio, ma si gioca lo stesso!!

Ha scelto la domenica di una partita attesa. Forse lui, di origine romena, non conosceva bene il campionato, ma la squadra e lo stadio sì, perchè ci trascorreva i suoi pomeriggi, fuori a guardare. Qualche ora prima che arrivassero tutti, è entrato nella casetta della biglietteria e si è tolto la vita. Lo ha trovato la società, quando è arrivata ad aprire l’impianto. C’è voluta un’ora, nel via vai di carabinieri e sanitari, perché il corpo fosse portato via. E a quel punto la partita si è disputata lo stesso. Domenica a giocare c’era la prima in classifica della seconda categoria, girone O, il Lugugnana, squadra di casa, contro Libertas Ceggia. Una sfida attesa che neppure il suicidio ha fermato. Don Roberto Battel, parroco di Lugugnana, non usa mezzi termini: «E’ la dimostrazione che la vita di una persona non vale niente», dice, annunciando che a questo episodio sarà dedicata la riflessione del settimanale parrocchiale. La vittima è un sessantenne di nazionalità romena, che proprio i giorni scorsi aveva chiesto un incontro al parroco per esprimere il proprio disagio. Un disagio nato dopo essersi trasferito in Italia, dalla figlia, ma con la quale i rapporti erano tesi da tempo. Il corpo è stato scoperto nel primo pomeriggio, quando i dirigenti del Lugugnana hanno cercato di aprire la biglietteria del campo sportivo. Qualcosa bloccava la porta dall’interno, quando l’hanno forzata si sono trovati davanti l’uomo appeso nel vuoto, con una corda legata ad una trave del soffitto. Sul posto sono arrivati il medico legale e i carabinieri, che dopo tutte le formalità hanno riconsegnato la biglietteria alla società. Ed è partito il calcio d’inizio. «Sinceramente penso che sarebbe stato opportuno non giocare - dice il vicepresidente del Lugugnana, Mauro Guglielmini - però, considerando che la biglietteria non è dentro al campo e che entrambi i presidenti volevano disputare la partita, si è continuato. Abbiamo vinto 6 a zero e siamo in testa alla classifica ma non è stata una grande vittoria morale». Quel sessantenne per la società e la squadra non era uno sconosciuto. Era spesso fuori dalla recinzione del campo, a guardare gli allenamenti, le partite. «Lo vedevamo di giorno e non escludo che abbia anche dormito in biglietteria - continua Guglielmini-. Era una persona sola, riservata. Un giorno, al termine di una partita di coppa, gli abbiamo offerto un panino». Anche il parroco lo conosceva. «Tempo fa mi fermò per strada chiedendomi di parlare, fissammo un appuntamento ma non si presentò mai - racconta Don Roberto Battel -. Era una persona spaesata, ogni tanto beveva più del dovuto ma non aveva mai fatto del male a nessuno». Don Battel non nasconde l’indignazione: «Anch’io sono un appassionato di calcio ma giocare una partita dopo quanto successo dimostra che la vita non vale niente. Oggi la vita di una persona vale solo se è un politico o ha un ruolo nella società. C’è chi non viene al catechismo perché deve giocare a calcio, questo sport si sta prendendo l’esclusiva su tutto e non si può più accettare questa scala di priorità». Don Roberto annuncia un lunga riflessione in chiesa e un intervento sul prossimo foglio parrocchiale: «Uno sport non può essere prioritario sulla vita di una persona». (fonte corrieredelveneto.corriere.it)